Lo scenario è ancora incerto
Tra i temi del momento, quello delle agenzie immobiliari digitali (e ibride) scalda gli animi degli addetti ai lavori. Quando penso a queste iniziative, mi viene in mente il proverbio che prendeva in prestito mio papà: ogni albero dà la sua ombra a chi gliela chiede. In sostanza qualunque offerta trova il suo consenso nel mercato, significativo o modesto che sia. Ed i modelli ibridi e digitali dell’intermediazione immobiliare non fanno eccezione.
Alcune di queste startup sono vittime del loro stesso entusiasmo. Capita, infatti, che ignorino il concetto di responsabilità quando si comunica al mercato, peccando di avventatezza: il nuovo che avanza dovrebbe cercare o proporre un nuovo equilibrio, una nuova logica nel fare le cose. Tuttavia disruptive, per quanto sia un termine che mi piace molto, viene abusato e trasferito nella sua accezione negativa. Non c’è innovazione dirompente, ma distruzione di ciò che è stato costruito fino ad ora.
Un altro termine che viene usato (e abusato) insieme a disruptive è proptech. Insieme queste 2 parole entrano in un glossario ancora in via di definizione, ma già impugnato come una clava per tacitare gli scettici che si pongono legittime domande. Al momento, l’etichetta proptech è assegnata ad ogni contesto che in qualche modo mette (o vorrebbe mettere) in relazione mattoni e tecnologia. I più critici sostengono che in alcune startup ci sia molto “prop” e poca “tech“. Il caso del coworking WeWork ben rappresenta la questione.
E se parliamo di agenzie immobiliari digitali, quando siamo in presenza di proptech? Basta usare un software gestionale e qualche App? Oppure ridurre l’intervento umano nella compravendita? E se si, di quanto? Qual è il punto di equilibrio, chi lo definisce e chi lo certifica?
Digitalizzare non azzera i costi del servizio
Un altro equivoco che bisogna chiarire è che la tecnologia, per quanto virtuosa possa essere, non fa sempre rima con gratis. Pensare che le agenzie immobiliari digitali possano vincere la competizione contro i modelli tradizionali ed innovare la compravendita con la gratuità del servizio è semplice utopia.
A meno che non si tratti di un’organizzazione senza scopo di lucro e con buona pace degli investitori, ogni azienda con obiettivi industriali deve avere un modello economico sostenibile e replicabile. L’idea che per arrivare a fare utili serva una cassa milionaria da bruciare è malsana, come pure pensare che “offrirsi” a commissioni zero o con un compenso complessivo risibile sia la chiave per la scalabilità del modello.
L’agenzia immobiliare tradizionale, ibrida o digitale resta un’azienda che deve generare profitti.
Quindi a cosa serve digitalizzare? A rendere trasparenti le informazioni e sicura la compravendita. La tecnologia può accelerare i processi gestionali, connettere più rapidamente le persone, ridurre le distanze. Probabilmente, un beneficio indiretto può essere anche una forma di risparmio economico, dopo quello di tempo.
Puoi non essere d’accordo con la mia visione critica. Per questo ti invito a riflettere sulla Caporetto di PurpleBricks, finanziata per centinaia di milioni, che è dovuta tornarsene a Londra dopo aver chiuso Sidney, Los Angeles e New York dopo vari tentativi, tutti falliti, di rendere il modello compatibile col mercato locale.
E se guardi alla nostra Italia c’è tanto da imparare: agenzie immobiliari digitali che continuano ad avere logiche locali (e talvolta amene), aziende digitali che si sono rifatte il look cambiando il modello più volte perché i conti non tornano. La strada per l’innovazione deve essere un’altra.
Digitalizzare è una responsabilità collettiva
La digitalizzazione riguarda tutte le agenzie immobiliari e non solo quelle con l’etichetta ibrida o digitale. Il modello agenziale dovrà cambiare a partire dal modo in cui si interpretano gli spazi fisici. Soprattutto nelle grandi città, un futuro possibile della professione sarà negli hub di servizio, nei coworking, in mobilità.
Il cuore dell’attività, il processo di acquisizione del cliente e quello di compravendita dipenderà dall’adozione di standard di servizio, meglio se internazionali, supportati da adeguata tecnologia. Da questo punto di vista le startup hanno una marcia in più perchè nascono leggere, pronte a cambiare e ricambiare assetto fino a trovare il migliore equilibrio possibile. Tuttavia, come agente immobiliare dovresti fare tuo questo percorso basato su tecnologia, competenza e valore relazionale.
Tra le startup che si sono affacciate nel mercato del 2019, ti porto in casa di Dove.it e del suo Founder Paolo Facchetti.
Questa azienda mi ha colpito perchè mi ricorda l’americana Compass, che coniuga una presenza territoriale qualificata ad un mix di marketing e tecnologia a supporto dell’agente immobiliare. Qui il professionista rimane protagonista attivo dell’intermediazione a tutto vantaggio del cliente che gode di patti chiari, trasparenza e sicurezza accompagnati da una relazione umana costante.
Lo stile di Paolo Facchetti mi è piaciuto anche fuori onda: asciutto, senza clamori e molto concreto. Gli auguro di avere un ruolo ispirante nell’evoluzione della professione.
La digitalizzazione riguarda tutte le agenzie immobiliari e non solo quelle con l’etichetta ibrida o digitale. Il modello agenziale dovrà cambiare a partire dal modo in cui si interpretano gli spazi fisici. Soprattutto nelle grandi città, un futuro possibile della professione sarà negli hub di servizio, nei coworking, in mobilità.
Il cuore dell’attività (il processo di acquisizione del cliente e quello di compravendita), dipenderà dall’adozione di standard di servizio, meglio se internazionali, supportati da adeguata tecnologia. Da questo punto di vista le startup hanno una marcia in più perché nascono leggere, pronte a cambiare e ricambiare assetto fino a trovare il migliore equilibrio possibile. Tuttavia, come agente immobiliare dovresti fare tuo questo percorso basato su tecnologia, competenza e valore relazionale.
Tra le startup che si sono affacciate nel mercato del 2019, ti porto in casa di Dove.it e del suo Founder Paolo Facchetti.
Questa azienda mi ha colpito perché mi ricorda l’americana Compass, che coniuga una presenza territoriale qualificata ad un mix di marketing e tecnologia a supporto dell’agente immobiliare. Qui il professionista rimane protagonista attivo dell’intermediazione a tutto vantaggio del cliente che gode di patti chiari, trasparenza e sicurezza accompagnati da una relazione umana costante.
Lo stile di Paolo Facchetti mi è piaciuto anche fuori onda: asciutto, senza clamori e molto concreto. Gli auguro di avere un ruolo ispirante nell’evoluzione della professione.
Guarda il video e, se ti va, lasciami un commento in fondo all’articolo.
Passaggi chiave dell’intervista
01:20 – Quali sono i 3 aspetti che vi differenziano dai tanti modelli digitali arrivati sul mercato italiano?
04:40 – PurpleBricks batte in ritirata da Australia e USA. Qual è la lezione per la mediazione digitale?
07:40 – Quali città sono coperte dal vostro servizio e come reclutate gli agenti immobiliari?
09:50 – Zero commissioni per il venditore: quali sono le ragioni di questa scelta oltre ad una più facile acquisizione?14:10 – Avete un’offerta anche per i costruttori: è un mercato promettente? Quali criticità vedi?
16:06 – Come si entra in contatto con Dove.it?
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