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Crediti immobiliari in sofferenza: chi paga il conto?

1024 536 Gerardo Paterna

L’annoso problema degli NPL’s (crediti immobiliari non performanti), potrebbe trovare soluzione, secondo quanto riportato dal magazine web Il Ghirlandaio (http://www.ilghirlandaio.com/retail-e-commercial/80493/distressed-asset-da-agidi-una-proposta-per-affrontare-il-nodo-dei-crediti-immobiliari-in-defalut/), con l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti.


In sostanza l’AGIDI (associazione giuristi del real estate) proporrebbe la costituzione di un fondo di fondi con l’apporto di equity (capitale) proveniente da questa istituzione finanziaria (una società per azioni controllata dal Ministero dell’Economia, ma partecipata anche dalle fondazioni bancarie, che gestisce i risparmi postali, buoni fruttiferi e libretti, come si legge dal sito ufficiale: http://www.cassaddpp.it/chi-siamo/identita-mission/identit-e-mission.html).

Giusto per dare qualche numero, si parla di circa 26 miliardi di euro di valore attribuito ai crediti in questione da collocare. L’AGIDI sostiene che senza equity non vi è soluzione percorribile.

Da operatore del settore, avendo incontrato numerosi soggetti (banche e società di leasing) con tali problematiche, ritengo che tale proposta non sia adeguata alla reale situazione per una serie di fattori.

I 26 miliardi di euro di valore nominale, probabilmente, hanno un sottostante immobiliare a garanzia da svalutare pesantemente (20-50%).

Se parliamo di immobili d’impresa in capo a società di leasing, frequentemente ci troveremo in presenza di portafogli composti da capannoni industriali in zone periferiche, extra capoluogo e spesso incompiuti, dove l’unico valore è rappresentato dall’area nuda e dalla potenzialità edificatoria, al netto dei costi di demolizione di manufatti vetusti e fuori standard.

Molto spesso lo sgombero di tali immobili da utilizzatori morosi, ha favorito fenomeni di abbandono (o di occupazioni abusive) e di vero e proprio saccheggio (asportazione di rame dagli impianti elettrici, di componentistica, di interi impianti di refrigerazione), con conseguente perdita di valore.

Nell’ambito residenziale, ci si trova in presenza di una moltitudine di immobili di scarsa qualità, in posizioni senza particolare appeal, il cui valore attualizzato è fortemente da riperimetrare. Anche nel caso di nuove costruzioni, l’evidenza si compone di opere che probabilmente non vedranno la fine lavori a breve e comunque non allineate agli standard energetici e tecnologici accettabili nell’attuale mercato.

Si è finanziato troppo e indiscriminatamente, tanto poi si cartolarizzava ed il problema passava a qualcun altro. Ora che la giostra si è fermata, occorre fare di conto ed essere realistici.

Acquistare con denaro pubblico questi asset, significa spostare un problema di un’impresa privata (banca) sulla collettività. Qui continuiamo a giocare con archetipi finanziari senza futuro, dimenticando che è proprio quel “tipo di finanza” che ha generato il problema.

A monte di qualunque strategia risolutiva, occorre che le banche agiscano con responsabilità. Non serve fare finta che il problema non esista o che sia di qualcun altro, aspettando che il tempo porti loro soluzioni politiche e magari l’intervento del “pubblico”.

È ora di scrivere un percorso di uscita fatto da un modello flessibile che valuti varie opzioni. Le banche devono imparare a gestire il loro potenziale immobiliare. E se non hanno le competenze (nella maggioranza dei casi), devono acquistarle sul mercato. Questa guerra va combattuta e vinta “casa per casa”.

Per cominciare è fondamentale dare un numero affidabile alle garanzie reali sottostanti il credito. Servono valutazioni realistiche, fatte da professionisti affidabili che conoscono il territorio. Usciamo dall’equivoco delle valutazioni desktop (in remoto) fatte da qualche colletto bianco neolaureato e senza esperienza immobiliare.

Le competenze sono indispensabili, ma la conoscenza del mestiere e del territorio sono fondamentali per contornare un quadro di insieme realistico e che abbia senso.

Nel caso di portafogli rinvenienti da locazioni finanziarie (leasing/immobili per l’impresa), dobbiamo capire, caso per caso, come valorizzare il singolo asset.

  • Serve terminare il manufatto per renderlo appetibile?
  • Occorre demolire l’esistente e cedere l’area nuda?
  • Bisogna trovare un nuovo utilizzatore dell’immobile che semplicemente conduca in locazione lo stesso (senza acquistarlo) ad un canone sostenibile?

Nel caso di portafogli residenziali, siamo in presenza di mutuatari morosi che occupano l’immobile. La vendita in asta raramente conviene alla banca. A parte i costi di gestione della procedura legale ed i tempi connessi, si arriva ad aggiudicazione, mediamente, solo al terzo tentativo di vendita, con riduzioni progressive di prezzo tra il 15-25% per ogni fase, che rendono indifendibile il credito.

Altro aspetto è che questa enorme massa di immobili, se già di proprietà del creditore (di solito società di leasing), producono costi fiscali e di manutenzione, quando non si arriva a dover affrontare complessità diverse come danneggiamenti ed occupazioni senza titolo.

Quando gli immobili sono sottoposti a procedura esecutiva (nel caso dell’abitativo dove il mutuatario non paga le rate di mutuo), non producono reddito, solo costi di gestione legale.

Anche se le banche fanno molta resistenza su questo tema, una soluzione percorribile è quella di costituire delle prop.co o delle re.o.co (società che fungono da contenitori immobiliari), che assumano i diritti di proprietà del bene mutuato. A questo punto si valuterà se trasformare il vecchio mutuatario, che non riusciva a pagare la rata mutuo, in un inquilino che paga un canone di affitto sostenibile.

Teniamo presente che nella stragrande maggioranza dei casi, non siamo in presenza di furbetti o persone in malafede, ma semplicemente in tensione finanziaria. L’esigenza abitativa, tuttavia, non viene meno, il che significa che se una rata mutuo mensile da 800 euro o più è insostenibile, magari un canone di locazione da 400/500 euro mensili diventa affrontabile con maggiore serenità. Percorrere questa strada significa per la banca produrre flussi di cassa, allentare la tensione sociale, azzerare i costi legali e guadagnare tempo per decidere se e quando tentare di rendere liquido il singolo asset.

Ad oggi il problema non è ancora affrontato su vasta scala. A parte qualche fondo immobiliare che acquista singole posizioni, alcune banche stanno tentando di vendere in proprio gli immobili o affidano incarichi di vendita a chiunque in grado di millantare potenziali acquirenti. Una gestione maldestra che peggiora la situazione, generando un’offerta poco qualificata e inflazionata.

Non c’è più spazio per improvvisare o provare, serve una strategia chiara e coerente, occorre attenzione per ogni singola posizione. È determinante investire sulle competenze per creare un modello che funzioni.

Prendere denaro pubblico può sembrare la via più facile, ma non è risolutiva e neanche moralmente accettabile.

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Autore

Gerardo Paterna

Da 25 anni nell'immobiliare come consulente, oggi sono un divulgatore a tempo pieno. Lavoro con imprenditori, aziende e startup consapevoli per creare e comunicare progetti e servizi per l'immobiliare. Produttore del format video #losgabello e dell'evento annuale Sinergie. Autore del libro Comprare e vendere casa - Luoghi comuni protagonisti e verità di un mercato in continua evoluzione". Colleghiamoci su Linkedin!

Tutti gli articoli di: Gerardo Paterna

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