Smart working o telelavoro?
Se parlare di smart working fa figo, meno frequente è l’uso del termine telelavoro, forse perché fa tanto anni ’70 e ti fa immaginare il lavoratore telecomandato a distanza.
Buona parte del personale dipendente occupato in aziende di servizi per l’immobiliare ha avuto un importante assaggio di cos’è il telelavoro in occasione del lockdown. Camere da letto e cucine sono diventate il luogo di esecuzione delle mansioni quotidiane, luoghi decentrati rispetto all’ufficio aziendale. Il telelavoro è normato nelle modalità di esecuzione, nell’orario, negli spazi da destinare all’attività.
Se invece ti immaginavi con un laptop, il cappello di paglia e la sabbia sotto ai piedi, forse ti sei avvicinato ad una versione esotica di smart working (o Lavoro Agile). Questa modalità di lavoro subordinato è di solito riservato a manager o collaboratori con funzioni più commerciali e di consulenza. Rispetto al telelavoro non ci sono vincoli orari o di luogo lavorativo. C’è una flessibilità organizzativa che aiuta il dipendente a conciliare vita e lavoro, ma che salvaguarda la produttività grazie a obiettivi condivisi con l’azienda.
In pieno lockdown, con le restrizioni di mobilità imposte, abbiamo vissuto più da teleworkers che da lavoratori agili. Ti è più chiara la differenza?
Si lavora meglio o di più?
I riflessi del lavoro a distanza durante il lockdown sono stati molteplici.
Forbes ha commentato uno studio condotto dalle università di Harvard e New York su oltre 3 milioni di persone occupate presso 21.000 aziende distribuite in 16 grandi aree metropolitane. Salta all’occhio, come primo aspetto, come la giornata lavorativa si sarebbe allungata in media di 48 minuti.
Una ricerca condotta da Linkedin su 2.000 lavoratori italiani mette in evidenza altri aspetti:
- il 46% si sente più ansioso e stressato rispetto a prima;
- il 48% ammette di lavorare almeno un’ora in più al giorno (20 ore in più al mese);
- Il 18% ha riscontrato un impatto negativo sulla propria salute mentale;
- il 27% ha difficoltà a dormire.
Termini come burnout da smartworking e workaholic stanno diventando di uso comune. Certo, il lockdown ha inciso in negativo sul lavoro a distanza (che non va demonizzato), tuttavia c’è un aspetto che ho vissuto in prima persona, avendo a che fare con tante aziende del real estate.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore
Il permanere della distanza fisica dal cuore dell’azienda è paragonabile ad un ventilatore in azione, ma che viene scollegato dalla rete elettrica. L’aria continua ad essere soffiata, ma col tempo la ventola smette di girare, fino a fermarsi. Cali di efficienza, disamore per la causa aziendale, perdita di riferimenti. E non c’è Zoom che tenga.
Sono sicuro che vi sono aziende che hanno saputo rafforzare i legami con i propri dipendenti e collaboratori, mantenendo un buon livello di efficienza. Non si può negare, però, che la distanza faccia emergere alcune criticità legate all’autonomia, alla responsabilità del risultato, all’automotivazione della persona.
Andando più a fondo, sono giunto alla conclusione che questo stress test riveli, nel tempo, quando non c’è una corrispondenza di valori tra l’azienda ed il collaboratore.
Rifletti su questo: le assunzioni vengono fatte in un contesto di relativa normalità, dove ciascuno rivela il meglio di sé, dove le competenze sono considerate primarie rispetto alle soft skills e dove il valore o i valori aziendali sono enunciazioni positive, ma che di rado hanno a che fare con il vero perché dell’imprenditore.
Una grande occasione per ridefinire i valori personali ed aziendali
Se hai fondato un’azienda, piccola o grande non importa, in questo periodo complesso ti serve una duplice strategia. Una di breve termine e l’altra di lungo termine.
Nel breve periodo dovresti avvicinare i tuoi collaboratori, far sentire loro che ci sei, che il lavoro che fanno è apprezzato, che c’è un percorso chiaro che l’azienda sta compiendo e che loro sono parte del suo futuro. Intervieni con fermezza dove serve, hai bisogno di collaboratori e dipendenti su cui contare, non persone con la valigia pronta ed un piede fuori dalla porta.
Rispetta le norme sanitarie, ma organizzati per far rientrare il personale in azienda, organizza più meeting, con un numero ristretto di partecipanti, ma in persona. Non vivere nell’illusione di tenere una squadra unita e produttiva per lungo tempo attraverso una webcam.
È una falsa illusione che potrebbe avere un alto prezzo.
Nel lungo periodo ti consiglio un viaggio introspettivo. Chiediti il perché stai facendo ciò che fai. Il tuo vero perché è sempre un valore umanistico, non materiale. Successo, soldi, affermazione sono la cima dell’iceberg. Sotto il pelo dell’acqua trovi la ricerca di accettazione, di indipendenza, di tempo, di amore e di altri valori personali.
Se accetti che il tuo ecosistema aziendale venga contaminato da questi valori personali, assumerai persone sintonizzate col tuo grande perché. I processi aziendali e la tua comunicazione rifletteranno questo mantra ad ogni livello della tua organizzazione.
Raggiungere gli obiettivi, superare le asperità, rendere grande ciò che fai, sarà tutto più facile, perché consapevolezza, responsabilità e lealtà giocheranno dalla tua parte. E questo vale sia per una grande azienda che per una piccola agenzia immobiliare. Anche al tempo del lavoro agile!
Fabio Burlando
Ottimo articolo!
Con tante verità su cui ragionare.
Gli eccessi non vanno mai bene.
Trovare l’equilibrio fare crescere tutti in azienda.
Ma ci vuole equilibrio per non perdere lo spirito di coinvolgimento indispensabile.