Sia bene inteso, tutte le iniziative che portano novità o che cercano di dare un’identità e valori comuni alla categoria degli agenti immobiliari, godono della mia simpatia e del mio sostegno incondizionato. Detto questo, però, dobbiamo essere realistici su ciò che si può e su ciò che sarebbe bello fare, ma che per cultura, antropologia e mille altri fattori non si riesce sempre a tradurre in un caso di successo.
La nostra Italia è un paese meraviglioso (come recitano anche i cartelli autostradali!), con le sue 20 regioni, 110 provincie, 8.047 comuni, 35.000 campanili, 630 parlamentari e 321 senatori, è specchio di un melting pot culturale, ideologico e oggi anche etnico, davvero significativo.
Un paese unico, il nostro, fatto di generosità ed estro creativo, ma anche connotato da un opportunismo individualista, dove “è meglio l’uovo oggi che la gallina domani”, dove la famiglia nucleare (gli stretti congiunti) è permeata da quello che il sociologo Bansfield definiva già negli anni ’50 “familismo amorale“, in sostanza:
“massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”.
Proprio questa caratteristica veniva additata come causa della diffusa mancanza di senso civico e collaborativo della nostra società, che per tale ragione è destinata a rimanere arretrata sia socialmente che economicamente.
Mi pare che non sia cambiato molto in oltre 60 anni, non vi pare?
Un esempio su tutti, in ambito economico, riguarda quello che per molti è un vanto tutto italiano, ovvero le aziende familiari. Una miriade di soggetti economici di modestissime dimensioni, legate ad una figura originaria e incapaci di crescere, espandersi, associarsi con successo, introdurre contaminazioni positive, innovazioni e competenze manageriali, superare la terza generazione di vita e contribuire alla creazione di un sistema macroeconomico moderno ed affidabile.
Si, ma tutto questo cosa c’entra con gli agenti immobiliari?
Tutto, se parliamo di collaborazione strutturata e organizzata, della creazione di un sistema e quindi, sintetizzando, di MLS (lo strumento tecnologico che dovrebbe portare su scala nazionale, semplificandolo, il concetto di collaborazione).
- L’MLS può funzionare in Italia, dove meno della metà dei circa 40.000 intermediari in attività (partita iva + rea) utilizza un gestionale e di questi, a detta delle più note software house, circa il 40% lo utilizza solo per “caricare sui portali immobiliari” gli annunci di vendita?
- L’MLS ha qualche senso pratico nella gestione economica della propria agenzia immobiliare pensando di vendere case da Aosta a Palermo e viceversa?
- L’MLS porta valore aggiunto rispetto alla sana e vecchia collaborazione fatta solo con chi gode della nostra fiducia, dove alla base c’è prima di tutto una relazione personale?
L’MLS negli Stati Uniti funziona. È vero, cento anni di storia dimostrano che funziona. L’America è un grande paese, dove il concetto di MLS si è radicato in un momento storico irripetibile ed ha risposto ad una esigenza di trasferimento e condivisione delle informazioni su una scala geografica significativa, dove la popolazione è abituata ad una alto tasso di mobilità interna, gli States sono anche il paese di Relocation.com.
Sono tuttavia convinto che la tecnologia attuale, con i suoi strumenti e la diffusione delle informazioni nelle modalità a cui siamo abituati, renderebbero arduo, oggi, anche negli States, l’instaurazione dell’MLS.
In Italia, nonostante le premesse poco promettenti, è ancora possibile introdurre questo strumento adottando una politica “liquida“. Guardiamo a ciò che serve in concreto all’agente immobiliare senza fare voli pindarici. Concentriamo risorse, esperienza e intelligenza per assecondare la nostra italianità, cercando di portarla ad un livello superiore. Realizziamo comunità locali, favorendo l’adesione e la costruzione delle regole del gioco in linea con i valori del luogo, senza forzature. Se poi si vorranno creare aggregati più ampi, saranno gli agenti a deciderlo.
Di contro, teniamo presente che la tecnologia oggi disponibile ci mette già nelle condizioni di decidere se e con chi collaborare (leggi ad esempio Active Finder), senza vincolarci necessariamente all’interno di un contenitore già formattato, il contenitore che a noi interessa si chiama mercato!
La collaborazione è un fatto culturale, di predisposizione e di opportunità. A prescindere da ogni strumento.
E voi cosa ne pensate? Lasciate un commento e contribuite alla discussione!
“whisky, soda e rock’n roll..” 😉
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