(Parte seconda)
Più passa il tempo, più riconosco il contesto enunciato da un noto economista statunitense, Jeremy Rifkin.
Nel suo saggio economico “L’era dell’accesso”, viene spiegato come il capitalismo sarebbe passato da un’economia basata sui concetti di “bene” e di “proprietà”, a un’economia controllata da valori quali la “cultura, l’informazione e le relazioni”.
È proprio in questo nuovo ambito che il concetto di “proprietà” assume un diverso significato, lasciando spazio alla priorità per l’uomo di avere “accesso” a reti relazionali, informative, culturali, dove “provare e accedere” è più importante che “possedere”.
Le correnti sociali di questo ultimo decennio, hanno spinto tutti, infatti, verso l’accesso a reti relazionali, informative, culturali.
Il web, nella sua interezza, con i social network, l’e-commerce, l’e-learning, ha già “dematerializzato” il nostro modo di relazionare, acquistare/accedere, imparare.
Questo concetto, per Rifkin, si applica anche all’immobiliare.
Se torniamo a osservare il “mattone”, abbiamo assistito ad un accentramento fortissimo della “proprietà” nelle mani di istituzioni economiche e finanziarie. La crisi che stiamo vivendo, non ha forse reso le banche e le società di leasing i più grandi “padroni di casa” del mercato?
Nella migliore delle ipotesi, come si fa a parlare di “casa di proprietà” con 30 o 40 anni di mutuo da pagare alla banca?
La fortissima stretta creditizia e la riduzione del settore della mediazione del credito, non è un forse un segnale che “l’acquisto di casa” non deve essere più una priorità del singolo?
Il possibile finale è che “l’abitare” sarà collegato ad un’esperienza a cui “accedere” anzichè ad una casa da “acquistare”. Dematerializzazione. Più locazioni, acquisti a tempo e chissà cos’altro. Pagheremo alle grandi società “l’accesso” per il periodo di tempo che riterremo, per poi cambiare in funzione delle nostre esigenze.
Detto questo, si continueranno a vendere case?
Si, probabilmente. Con meno veemenza degli scorsi lustri e con maggiore attenzione agli immobili di prestigio e di qualità e alle residenze turistiche. Il settore residenziale di largo consumo delle grandi città resta un’incognita in mano ai grandi creditori del nostro tempo, le banche.
Come evolverà il mercato del credito immobiliare per le famiglie?
Numeri esigui e tempi di delibera lunghi e disincentivanti; si continuerà ad erogare a chi i soldi li ha già (ma guarda un po’!).
Forse qualche istituto bancario con alti tassi di sofferenza cercherà di scaricare gli immobili “ereditati” a condizioni particolarmente favorevoli a cui incollerà uno “strepitoso” mutuo ultradecennale, tanto per togliersi qualche problema.
Continueremo a costruire nuove case?
Credo proprio di si, anche se preferirei pensare ad un recupero del patrimonio esistente, di cui la nostra Italia è ricchissima. Ad ogni modo, le nuove case dovranno garantire qualità, esclusività, tecnologia, sostenibilità energetica e sicurezza; tutti fattori ancora poco diffusi nella comune cultura della costruzione. A prescindere dalla #collera (era l’hashtag su twitter di questi giorni), credo che il settore delle costruzioni necessiti di un profondo rinnovamento culturale e qualitativo che favorisca una forte selezione.
Cosa cambierà il valore del patrimonio immobiliare?
La sostenibilità energetica. Presto una casa non varrà soltanto per la zona nella quale è ubicata, lo stato, la superficie, ma soprattutto per quanta energia da fonti rinnovabili riuscirà a produrre. Questa è la vera frontiera, la creazione di griglie energetiche urbane. Questo vale anche per i centri storici, dove è possibile integrare elementi e tecnologie per la produzione e distribuzione di energia. A questo aggiungiamo la resistenza alle attività sismiche; le zone a bassa sismicità sono veramente poche e molto patrimonio immobiliare esistente è esposto.
Se poi i danni dovranno pagarseli i privati…. 😉
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