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La tinteggiatura dell’appartamento a fine locazione: dovere o facoltà?

1024 536 Floriana Branca

La tinteggiatura dell’appartamento tra dovere e concessione

La questione è spesso arrivata nel mio studio e, immagino, sarà capitato anche a te di dover dare un consiglio sul tema ai tuoi clienti.
L’inquilino, al termine del contratto di locazione, è obbligato alla tinteggiatura dell’appartamento? Il proprietario può tutelarsi con apposite clausole contrattuali?

Immagina la situazione tale per cui un inquilino abbia affittato una casa di cento metri quadrati, con soffitti alti quattro metri. Nel caso abbia sottoscritto una clausola che gli imponga la tinteggiatura dell’appartamento a fine locazione, si potrebbe vedere costretto ad affrontare una spesa rilevante!

La problematica, tutt’altro che banale, ha originato contenziosi infiniti, ed ha fatto sì che la giurisprudenza se ne interessasse e prospettasse diversi scenari interpretativi.

Oggi esiste una posizione, costante e pacifica, che riconduce al novero della nullità la clausola che imponga all’inquilino la tinteggiatura dell’appartamento a fine locazione.

I presupposti sono i seguenti:

  • ciò costituirebbe un illegittimo arricchimento per il locatore. Lo stesso, infatti, a fronte della locazione del bene immobile, avrebbe solo diritto al pagamento del canone, delle spese accessorie pattuite e al risarcimento degli eventuali danni;
  • al conduttore non può essere addossato l’aggravio economico del normale deterioramento che l’uso della cosa comporta.

Stando a questo filone teorico, se l’inquilino del mio esempio firmasse un contratto che contenesse una clausola del genere, potrebbe invocarne la nullità. Così potrebbe evitare di dover spendere (o vedersi detratte dalla cauzione) diverse centinaia, se non migliaia di euro, per tinteggiare l’immobile. 

Le argomentazioni della recente giurisprudenza sono del tutto condivisibili, ma non possono essere prese come “legge” (proprio perché sono solo sentenze). Esse non possono essere valide in generale e per qualunque tipo di contratto e situazione. 

A mio avviso, infatti, per avere un loro peso nelle singole fattispecie, le argomentazioni giuridiche sopra delineate devono essere contestualizzate e rapportate a:

  • gli elementi del caso concreto:
  • la “sensibilità” delle parti, alle caratteristiche dell’immobile e, non da ultimo, al concetto di “normale deterioramento”. Quest’ultimo viene spesso inteso in maniera molto soggettiva da ambo le parti e di frequente confuso con il concetto di “danno”. Con tutti i contenziosi che ne derivano (ma anche questo, immagino, ti sia già capitato).

Giusto per chiarire: queste clausole sono considerate nulle dalla giurisprudenza perché qualificate come “vessatorie”, ovvero clausole che determinano a carico di una sola parte uno squilibrio degli obblighi che derivano dal contratto di locazione.

Cosa sono le clausole “vessatorie”?

Si tratta di patti, inseriti in un contratto e sono disciplinate dalla legge. Esse sono previste:

  • negli artt. 1341 e 1342 del Codice Civile (il cui dettato è valido per qualunque tipo di contratto e contraente, a prescindere dal fatto che siano consumatori o meno. Mi riferisco, pertanto, ai contratti Business to Business, Consumer to Consumer o Business to Consumer);
  • negli artt. 33 e ss. Decreto Legislativo n. 206/2005, c.d. Codice del Consumo (il cui ambito di operatività è però circoscritto ai soli contratti tra professionisti e consumatori, quindi i c.d. contratti Business to Consumer).

Le clausole vessatorie sono nulle, tuttavia possono essere “salvate” e rese valide ed efficaci se:

  • quanto a quelle previste dall’art. 1341 C.C., se vengano approvate espressamente con una ulteriore sottoscrizione della parte che “le subisce”, diversa e separata rispetto alla firma che si riferisce invece al testo contrattuale nel suo complesso (c.d. “doppia sottoscrizione”), ma questo solo quando una delle due parti non sia un consumatore (quindi, solo nei contratti Business to Business e Consumer to Consumer);
  • quanto a quelle previste dall’art. 33 Cod. Consumo, se siano inserite quindi in un contratto Business to Consumer, sono “salve” se il professionista dia prova che sulle stesse sia intercorsa una trattativa individuale specifica con il privato, quindi è bene che di tale trattativa risulti una traccia scritta; le clausole previste dall’art. 36 Cod. Consumo, sempre solo se inserite in un contratto Business to Consumer, sono invece sempre nulle, anche in caso di doppia sottoscrizione e trattativa individuale documentata.

Quando è valida la clausola relativa alla tinteggiatura?

Quindi, posto quanto sin qui detto, se la clausola relativa alla tinteggiatura:

  • sia inserita in un contratto tra privati (Consumer to Consumer) o tra società (Business to Business);
  • abbia un tenore tale da non imporre uno squilibrio del rapporto contrattuale, ma si ponga come obbligo bilaterale (ad esempio, “io proprietario do in locazione il bene con muri tinteggiati, io inquilino restituisco il bene con muri tinteggiati”);
  • sia stata specificamente approvata per iscritto due volte, 

è valida ed efficace, a prescindere dalle posizioni giurisprudenziali di segno opposto.

Se, invece, venga inserita in un contratto Business to Consumer, per essere ratificata deve esserci la prova (meglio se documentale) che sulla stessa sia intercorsa anche una libera e consapevole contrattazione tra le parti, potendo non essere sufficiente solo la doppia sottoscrizione (ad esempio, “io società proprietaria do in locazione il bene con muri tinteggiati, io inquilino, privato e consumatore, restituisco il bene con muri tinteggiati, posto che mi sono confrontato col proprietario a riguardo, mi va bene assumere questo onere e ne percepisco la portata – anche economica -). Io inquilino sottoscrivo questo patto due volte, per rafforzare l’espressione della mia volontà in tal senso, e, quindi, anche per ribadire l’impegno che mi assumo”).

Ed ora un consiglio: sarebbe sempre bene, se possibile, che le parti verifichino alla presenza di entrambe, lo stato dell’immobile al momento del suo rilascio, magari redigendo e sottoscrivendo un verbale ad hoc. 

Questo anche per concordare, o almeno provarci, il significato delle espressioni “normale deterioramento” e “danni” perché, ricordiamoci, se è vero quanto sopra detto sulle clausole vessatorie, è altrettanto vero che l’inquilino resta comunque obbligato a risarcire i danni arrecati all’immobile, ivi compresi i danni arrecati alle pareti o alla sua tinteggiatura.

Hai dubbi specifici o ti serve una consulenza? Scrivi a content@gerardopaterna.com. Ti risponderò quanto prima!

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Autore

Floriana Branca

Laureata con lode in giurisprudenza all’Università degli Studi di Genova, sono Avvocato iscritto all’Albo del Foro di Savona. Il mio campo di interesse ed approfondimento professionale tocca l'area della contrattualistica e della privacy, ricoprendo anche il ruolo di Data Protection Officer (Regolamento Europeo 679/2016, c.d. GDPR) per numerose società, enti e professionisti nel settore pubblico e privato. Nel settore immobiliare assisto privati, professionisti e aziende fornendo loro consulenza contrattuale (vendita, locazione, appalto e subappalto, esecuzione immobiliare, condominio).

Tutti gli articoli di: Floriana Branca

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